Ricordi l’esercizio alla palla di Milena Baldassarri? Se non lo ricordi, ne ha parlato Beatrice qui. Milena quest’anno ha interpretato magistralmente un esercizio dedicato alla violenza sulle donne utilizzando un brano di Billie Eilish in cui si parla di giudizi, parole e ferite dell’anima.
Ed è proprio questo ciò di cui vorrei parlarti oggi: del segno lasciato dai comportamenti e dalle espressioni verbali talvolta messi in atto senza una reale consapevolezza delle conseguenze che queste hanno sugli individui.
We make assumptions about people
Billie Eilish
Based on their size
We decide who they are
We decide what they’re worth
Il mondo della ginnastica e, più in generale, dello sport è costellato di episodi ascrivibili alla sfera della violenza di genere. Un mondo che dovrebbe essere caratterizzato da competizione leale e rispetto reciproco, si trova spesso ad affrontare un problema che affonda le sue radici nella cultura e, talvolta, nell’incompetenza degli attori di questi abusi. Attori a loro volta vittime di un complesso intreccio di tradizione, norme e stereotipi che scandiscono le dinamiche sociali.
In questa sede non voglio fare riferimenti diretti alle denunce (solo in Italia circa 200) di cui già si occupano le istituzioni preposte. Voglio solo illuminarti, farti capire da dove parte il problema e perché il fatto che ci possano essere delle responsabilità dirette e personali, sia, in realtà, una buona notizia.
Il linguaggio dell’odio e la violenza di genere
Il linguaggio dell’odio è spesso veicolato da stereotipi e discriminazioni, sia dirette che indirette. Quello sessista nello sport si manifesta in varie forme: dal commento apparentemente innocuo alla retorica apertamente discriminatoria. Un esempio lampante è l’uso di stereotipi che limitano il ruolo delle atlete a una dimensione superficiale, trascurando il loro talento e sacrificio sportivo o ponendo in enfasi una presunta “inferiorità” prestazionale legata a caratteristiche biologiche.
Questo tipo di linguaggio non solo sminuisce le performance delle donne nello sport, ma contribuisce anche a perpetuare norme di genere dannose nella società. Ma procediamo in maniera ordinata.
Secondo Tannen (1994), le caratteristiche del linguaggio sessista spesso includono:
1. Ricorso a rappresentazioni stereotipiche riferite al genere: preconcetti riguardanti ruoli, comportamenti o caratteristiche associati tradizionalmente a uomini o donne. Ad esempio, dare per scontato che le donne siano adatte solo a determinati sport o che alcune tipologie di atlete non fatichino quanto gli atleti.
2. Oggettificazione: trattare le persone come oggetti o basandosi sulla mera apparenza fisica anziché sulle loro competenze o talenti (ti stimolo un ricordo: le foto in spaccata vietate dalla federazione in Svizzera).
3. Linguaggio connotato: l’uso di parole o espressioni che portano con sé implicitamente una valenza negativa o discriminatoria nei confronti di un genere. Per esempio “Hai il ciclo?” chiesto per enfatizzare un comportamento nevrotico.
Il linguaggio e la psiche
Molti studi, inoltre, hanno dimostrato l’influenza che il linguaggio esercita sulla psiche degli individui influenzando la loro autostima, identità e partecipazione sociale. Tra queste:
Impatto sull’autostima e sull’identità: l’uso di espressioni stereotipate o discriminatorie può provocare nelle destinatarie la sensazione che non corrispondano agli standard imposti, influenzando negativamente la percezione del sé.
Creazione di aspettative limitanti: un linguaggio che sottolinea ruoli di genere tradizionali può portare ad aspettative limitanti sulle capacità e sulle aspirazioni degli individui.
Stress e ansia: l’esposizione a linguaggio sessista o discriminante può generare stress e ansia a causa della continua pressione a dover essere estremamente prestazionali.
Partecipazione sociale e professionale: Il linguaggio di genere può influenzare la partecipazione sociale e professionale, creando barriere all’accesso in determinati settori o ruoli e contribuendo a disuguaglianze nelle opportunità e nei trattamenti.
Salute mentale: l’esposizione ripetuta a un linguaggio sessista può avere un impatto sulla salute mentale concorrendo allo sviluppo di condizioni come depressione, angoscia e stress post-traumatico.
La battaglia nei campi di gioco digitali
Con l’avvento dei Social Media, le manifestazioni di sessismo nello sport hanno trovato una nuova arena di scontro. Le atlete, già soggette a critiche ingiustificate, si trovano spesso nel mirino di commenti sessisti e discriminatori online che vanno oltre la critica sportiva e si trasformano in veicoli di disprezzo basati sul genere. La misoginia digitale si diffonde come un’epidemia, non solo minando la partecipazione delle donne nello sport ma anche alimentando un ambiente tossico, che incoraggia una cultura maschilista e patriarcale.
La battaglia sulle pedane
Secondo i dati in nostro possesso, nel contesto sportivo, le atlete sono più frequentemente degli atleti soggette a commenti che vanno oltre la semplice critica sportiva. Questi commenti non solo influenzano la percezione pubblica delle stesse (basti pensare alle conseguenze mediatiche subite spesso da chi denuncia), ma possono anche avere un impatto significativo sull’autostima e sul benessere psicologico nel medio-lungo termine.
Ecco, la violenza inizia esattamente qui! Un comportamento verbale reiterato fatto di epiteti, persino apparentemente non intenzionali, è di fatto una molestia.
Espressioni come “Sei incapace” o “Sei brutta da vedere”, pur riferendosi alla sfera della prestazione sportiva, sono volte a una svalorizzazione di tipo manipolatorio (vedi gaslighting) in cui si colpisce la fiducia e la sicurezza dell’atleta, inducendola/o a dubitare delle proprie esperienze e percezioni in tutti gli ambiti della vita. Se questo comportamento abusivo avviene sulle pedane e si rivolge a minori, le conseguenze possono essere devastanti. Tuttavia, ci muoviamo ancora nell’ambito della violenza psicologica non necessariamente legata alla discriminazione di genere se non per le caratteristiche comuni che entrambe hanno in termini di:
- genere delle vittime (in Italia, la ginnastica ritmica è femminile);
- tendenza al victim blaming nell’impatto mediatico (il confine tra “Vestita così, te la sei cercata” e “Hai scelto di fare l’atleta e c’era da aspettarselo” è veramente sottilissimo)
- timore di ritorsioni (in entrambe le situazioni le vittime tendono a non denunciare per paura delle conseguenze).
Il cambiamento: perché dobbiamo fare la nostra parte
Nel primo paragrafo ti ho scritto dell’importanza di identificare le responsabilità. In verità, la mia, non è una sete di vendetta ma la puntualizzazione della necessità di consapevolezza. Conoscere e riconoscere il cattivo funzionamento di una prassi culturale e, talvolta, educativa permette di analizzare il problema e di diffondere le origini dello stesso.
Il linguaggio sessista e la violenza verbale nello sport sono solo parte dell’espressione di un fenomeno più ampio, specchio della società in cui viviamo. La lotta per il miglioramento delle politiche delle organizzazioni sportive o per regolamenti più rigidi, per quanto urgente e necessaria, non è la sola aula in cui chiedere che avvenga il cambiamento.
Ogni voce può essere un potente strumento. Ogni attore può essere un difensore dell’uguaglianza. Ogni esortazione può diventare un attrezzo roteato con grazia.
La rivoluzione silenziosa inizia con le persone: i veri custodi dell’anima dello sport sono gli individui, con il loro contributo.
Non so se vado fuori tema (in quel caso, sgridatemi pure), vorrei consigliarvi di prendervi qualche minuto per ascoltare il discorso tenuto da Tamberi davanti al presidente Mattarella. Non si parla di violenza contro le donne nello specifico, ma è un discorso in generale a nome degli atleti che credo rientri bene nel contesto di una maggiore sensibilizzazione che può partire anche da noi tifosi.
Sul profilo instagram di Tamberi si trova l’intervento: https://www.instagram.com/p/C0PIi7ssxlq/?igshid=MzY1NDJmNzMyNQ==
Grazie Loredana per questo bellissimo (e importante) approfondimento! 🌹
Permettimi, Beatrice, approssimandosi la chiusura ai commenti a questo articolo, di rinnovare i miei complimenti a Loredana con una mia riflessione conclusiva.
Avevo scritto nel mio post precedente come questo tema non fosse argomento facile da affrontare.
In realtà – come dimostrato dai numeri, piuttosto contenuti, di letture di noi utenti – avrei dovuto aggiungere (perchè lo temevo, come, penso, anche Loredana e te, Bea) che esso sia argomento anche non facile da leggere.
Questo blog, come prima il mitico Forum, è frequentato da ginnaste, allenatrici, dirigenti, genitori e più semplicemente appassionati e tifosi.
Non è una scoperta osservare quanto entusiasmo e partecipazione accompagnino articoli sulle gare – dai mondiali alle competizioni nazionali – o sulle dispute rispetto al valore o considerazione di questa o quella ginnasta: argomenti che, nel Forum, scatenavano derby appassionati fra opposte “fazioni”! 🙂
Insomma, inevitabilmente, per usare una metafora, lo splendore, la luce e l’incanto di una luna piena sono un’attrazione irresistibile e istintiva.
Ma quanti di noi, invece, si appassionano, semplicemente pensano che quella stessa luna abbia un suo lato oscuro, magari non ugualmente affascinante e attraente?
Tutti sappiamo come lo sport abbia questo suo lato oscuro, fra questi certamente la ginnastica ritmica, come confermato dai recenti fatti di cronaca anche giudiziaria.
Eppure la “fatica” che inevitabilmente accompagna l’affrontare quel tema, la difficoltà di quel cammino di consapevolizzazione cui Loredana faceva cenno, evidentemente ci porta a mettere sotto il tappeto quella polvere fastidiosa che opacizza body luccicanti e sorrisi apparentemente rassicuranti.
“I veri custodi dell’anima dello sport sono gli individui, con il loro contributo” scriveva Loredana.
Se, per “fatica” abdichiamo a questa missione, lasciando che tutto venga puntualmente ricoperto da un comodo processo di “normalizzazione” poi, però, ha ragione chi, afferma, anche oggi, che è giusto così perchè è da sempre così, che altra via non possa esserci.
Quindi, ancora una volta, grazie Loredana per aver fatto riflettere almeno una parte di noi!
Non avrei saputo esprimermi meglio!
L’unica cosa che trovo migliorabile in questa conversazione sono le faccine a disposizione per mostrare condivisione, non esiste una faccina per esprimere sia la condivisione del pensiero che lo sgomento che il tema suscita: come madre di 2 ragazze sono terrorrizzata, credo che nessuno si possa sentire al sicuro, i mostri non sono brutti sporchi e cattivi, ma assumono sembianze traditrici
Credo come te, Loredana, nell’importanza delle parole, e ti ringrazio di cuore di aver parlato della violenza verbale, che personalmente mi sta molto a cuore, perché credo che spesso, soprattutto sui social, il confine tra ‘giudizio personale’ e ‘giudizio sulla persona’ sia estremamente sottile. Sarà la comunicazione immediata, sarà la percezione amicale degli interlocutori, ma la mia sensazione è che ci si dimentichi a volte quali strumenti si stanno usando e da chi le nostre parole possono essere lette. Grazie di aver sensibilizzato sul tema
Ps. L’esercizio di Milena, dopo queste tragiche settimane, è più attuale e denso di significato che mai
Complimenti Loredana. Non è argomento facile da affrontare. Apprezzo, su tutto, la tua riflessione finale. I veri custodi dell’anima (non solo dello sport) siamo tutti noi, con le nostre azioni. Prima ancora con le nostre parole.