Sono il papà di una ginnasta.
E non riesco a smettere.
Ricordo come fosse oggi quel maledetto giorno in cui tutto è iniziato.
Estate 2011, una spiaggia della Liguria.
E il diavolo oppure un angelo, fate voi, con le sembianze di un arzillo e asciuttissimo signore sui settanta.
La mia bimba – 5 anni all’epoca – si è appena esibita in un volteggio, lasciandosi cadere dall’altalena per ricadere composta in piedi. Io sgomento e spaventato, il diavolo/angelo che si affianca: “Mi scusi se mi permetto. Se già non la pratica, da ex allenatore di ginnastica, le consiglio di farla provare.”
E no che non ti dovevi permettere, che tu sia maledetto!
Perché tutto da quel giorno è cambiato.
L’open day al ritorno dalle vacanze in una società di ritmica dell’hinterland e lei, la mia bimba che, in mezzo a un esercito di coetanee, saltella, fa capriole, frenetica ed entusiasta, con poche altre, viene selezionata: alcune di quelle bambine ancora oggi, in altre società, solcano le stesse pedane.
Ed eccomi improvvisamente diventato il papàdiunaginnasta, scritto tutto attaccato da sostantivo proprio e se ancora il termine non lo trovate sulla Treccani l’errore è il loro, mica il mio.
Perché essere il padre di una bimba/ragazza che pratica la ritmica non è solo uno status ma una condizione dell’anima, una divisa, un mestiere, roba da sindacato o da associazione onlus per intenderci.
Perché noi papàdiunaginnasta siamo gli “invisibili”, i paria della ritmica, relegati all’ultimo gradino della piramide sociale di un mondo tutto al femminile, percepiti dalle protagoniste, quanto alla nostra utilità, come quel marito che in sala parto assiste alla nascita della sua creatura, ignorato e guardato torvo da medici e infermieri e, di norma, insultato dalla moglie trasfigurata.
Comparse, insomma, che a saperlo Ligabue “Una vita da mediano” l’avrebbe dedicata a noi mica a Lele Oriali: che, almeno lui fortunato, inseguiva palloni.
In una contemporaneità ormai fluida noi siamo autentici transgender, più tempo siamo rimasti esposti alle radiazioni di palle, nastri, clavette e cerchi volteggianti e più la mutazione è prossima al completamento.
Siamo tutti partiti dalla nostra condizione di tifosi pallonari, stadio o divano pari sono, birra in mano, meglio se in compagnia di amici nel nostro rito domenicale, pronti a gridare i peggio insulti ad avversari ed arbitri.
Ci ritroviamo ora prigionieri per intere giornate in palazzetti delle più recondite località d’Italia, ora celle frigorifero da macelleria, altre volte autentiche saune svedesi.
E, inutile girarci attorno, non ne capiamo niente anche se tutti, per comprensibile pudore, applaudiamo compostamente ad ogni fine esercizio.
Perché così abbiamo imparato a fare guardandoci intorno, scoprendo presto peraltro che in questa declinazione aggraziata dello sport al femminile, neanche ci è concesso un liberatorio “arbitro cornuto!”.
Maciniamo migliaia di chilometri all’anno alla guida per e dai più disparati luoghi d’Italia, camionisti anonimi del sogno della nostra principessa. Lei dorme dietro come un angioletto ritornando a casa, tua moglie promette di stare sveglia per “farti compagnia”, salvo cominciare a russare dopo tredici minuti dalla partenza.
E rieccoti, ancora una volta solo e invisibile, tu e l’autostrada, la pioggia, la nebbia, la neve dopo una giornata di sigarette, caffè e panini stopposi.
È solo quando smetti anche di lamentarti, spento nella tua istintiva ribellione dalla constatazione che, ad agitarsi, le cose possano persino peggiorare, che la trasformazione, l’ascesi, diviene illuminazione.
Allora, con altri occhi, ti ritrovi a entusiasmarti davanti a uno spettacolo che, pur nella tua becera ignoranza, percepisci come magico, figlio di talento innato ma pure di giornate, mesi, anni di allenamento costante, duro affrontato da protagoniste che, in altri sport, a quell’età al più si troverebbero in una selezione allievi o juniores.
Quelle fatiche le conosci. Sono quelle di tua figlia. Ma in quella giornata di competizione realizzi plasticamente che sono quelle anche delle sue avversarie.
Che hanno, come tua figlia, compagne e allenatrici che le incoraggiano.
E mamme e papà che esultano, si disperano per poi, comunque, riabbracciarle al loro arrivo in tribuna.
Così tutto ritrova un senso, ti senti parte di un mondo che fatica e dove tutti in fondo hanno una parte assegnata dal copione.
A te, che ci vuoi fare, è toccato quello della comparsa, una battuta, due al massimo.
Ma, tutto sommato, l’importante è esserci, va bene così.
Sono ilpapàdiunaginnasta.
E non riesco a smettere.
Buona festa del papà a tutti i presenti, passati e futuri papàdiunaginnasta 💜
Vuoi dire la tua sulla ginnastica ritmica o chiedere un approfondimento su un argomento in particolare? Non esitare a inviare la tua lettera e a far parte della conversazione su BlaBlaGym!
Sono il papàdiunaginnasta, eravamo rimasti lì, no?
No, non ho ancora smesso.
Ammetto, l’immagine di quell’altalena su una spiaggia della Liguria si è fatta sfuocata.
E la mia “bimba”, nel frattempo, è diventata donna.
Il viaggio continua, è quello che conta.
Sempre insieme, sempre affianco.
A quei papà che anche se s immaginavano papà di un giovane calciatore….hanno imparato ad innamorarsi della ritmica, e tifano ed esultano per ogni rischio riuscito!!❤️
Auguri papà, per ogni cerchio perfettamente pulito e decorato nuovamente, per ogni gancetto del nastro aggiustato, per l’amore e la cura nel fasciare le mani aperte dai “calli da clavette”, per il ghiaccio sulle caviglie e i pranzi divorati con un piede già in macchina per l’allenamento delle 15 quando tu uscivi da lavoro alle 14:30, per lo sguardo orgoglioso dietro videocamere e macchine fotografiche, per le ore spese ad ascoltare cd e cassette ovunque, a casa, in camper, in macchina, tra Acoustic Alchemy, Alan Parsons, Vangelis e Pink Floyd… alla ricerca della musica perfetta per il nuovo esercizio… quando non c’erano parole… in tutti i sensi. Ancora oggi da allenatrice a fine gara o saggio cerco il tuo sorriso e un ok con l’occhiolino… sono tre anni che nel pubblico tu non ci sei più, ma ti ho nel cuore, nella mente e nelle orecchie.
La tua piccolì <3
Non sono ancora (ma ammetto che un pochino ci spero, in futuro) papà di una ginnasta (Ritmica, rispetto le altre branche della ginnastica ma la Ritmica è letteralmente il battito del mio cuore) ma ho l’età e (sprazzi) d’esperienza che mi fanno sentire, affettuosamente, “papà onorario” di tutte quelle magnifiche gemme che calcano quei preziosissimi 13×13 ai quali ho scelto, scelgo e sceglierò sino all’ultimo respiro di dedicare tutta la mia passione, indipendentemente da categoria, età e bandiera.
E posso dire che alcuni passaggi di questa sentita lettera, che ha dei toni somiglianti quasi a quelli d’un (giocoso) manifesto, mi rispecchiano sia per alcune esperienze già fatte (in qualità di tifoso di Ritmica, ovviamente) e altre che invece immaginavo essere esattamente così e che un giorno vorrei, nel bene e nel male, toccassero anche me.
Grazie, dunque, al “papàdiunaginnasta” per aver scritto questa lettera mettendo in evidenza delle emozioni che forse non vengono contemplate spessissimo (sarà solo un’impressione, ma questo stile di scrittura mi è, per qualche ragione, familiare).
E grazie a tutti i papà delle ginnaste, che sostenendo con ogni tipo di sforzo (da quello economico a quello logistico per nominarne un paio) le loro ragazze, permettono a noi appassionati di poterne ammirare i frutti del durissimo lavoro in pedana.
Auguri a tutti i papà!
Buona festa a tutti i papà, dai papà delle ginnaste a quelli che lo sono nel cuore. Siete fondamentali per noi figlie.
Auguri a tutti i papà ma in particolare al mio, che è stato parte fondamentale anche nella mia vita da “appassionata di ginnastica sul web” 💜
Simpaticissimo!