Pubblicato originariamente su BeatriceVivaldi.it il 5 febbraio 2016
Chi è Giulia Staccioli?
Innanzitutto una ginnasta, e che ginnasta! È una delle poche italiane ad aver partecipato a due Olimpiadi da individualista, Los Angeles ’84 e Seoul ’88, classificandosi 7° alla prima e 18° alla seconda.
Poi è un’artista: conclusa la carriera sportiva approda in America, agli Alvin Ailey Studios. È la prima italiana che entra a far parte dei Momix, storica compagnia guidata da Moses Pendelton, con i quali lavora per ben tre anni. Ma la sua carriera già brillante non si conclude qui: tornata in Italia, nel 1995 fonda i Kataklò – che in greco significa “io ballo piegandomi e contorcendomi” – una compagnia di physical theatre che mescola sapientemente danza, teatro e ginnastica e che da anni calca importanti palchi nazionali e internazionali. Infine nel 2010 fonda a Milano Accademia Kataklò, la prima accademia di formazione e avviamento professionale dedicata a performer di physical theatre.
Ho avuto l’opportunità di conoscere questa incredibile donna in occasione del “Katatris”, uno stage intensivo di tre giorni organizzato dall’Accademia Kataklò al quale ho partecipato a gennaio 2016. Devo dire che è stata fonte di enorme ispirazione per me tanto che, al termine del percorso, le ho chiesto di concedermi una piccola intervista per il sito.

L’intervista
Da ginnasta olimpionica a danzatrice: cosa ti ha portato a spostarti dal mondo della ginnastica a quello della danza?
Già da piccola, prima di iniziare ginnastica ritmica, facevo danza e volevo diventare una ballerina, ma le circostanze della vita e i miei genitori non mi hanno fatto intraprendere quel percorso. Mi sono avvicinata prima alla ginnastica artistica ma non avevo le caratteristiche fisiche idonee. La ritmica è stata un’illuminazione, un amore a prima vista, anche se ho iniziato molto tardi, a 12 anni! La ritmica è stata “la mia danza” per tanti anni; però ho sempre avuto voglia di scoprire cosa fosse veramente la danza. Quando mi sono ritirata avevo già 25 anni, che ora magari non sono tanti ma per il tempo tantissimi, ma avevo ancora voglia di fare e quindi ho cominciato a guardarmi in giro.
Quindi poi sei andata in America…
Sono approdata in America in modo un po’ casuale, facendo dei percorsi di stage che esistono nella danza. In Italia non trovavo una scuola di danza che realmente potesse comprendere quale era il mio percorso. Non potevo iniziare come principiante perché avendo la base di ritmica non lo ero, però non potevo andare nei corsi avanzati perché avevo comunque un gesto che non funzionava, essendo radicata ancora molto nel mondo ginnico. Negli Stati Uniti, dove c’è più apertura mentale e più disponibilità da parte degli insegnanti di non incasellare troppo gli allievi, ho avuto l’opportunità di provare subito a un certo livello. A quel punto è sbocciato l’amore per la danza; dalla ginnastica quindi mi sono allontanata non per disamore ma per curiosità di scoprire anche altro.
Come succede a molte ginnaste ho ritardato il più possibile l’abbandono dall’attività perché tutto il mio mondo è sempre ruotato attorno alla ritmica e avevo paura di non trovare un altro mondo che mi attirasse altrettanto, che fosse così forte. Però dopo la seconda Olimpiade, trascorso un anno un po’ più rilassato, ho deciso di provare altro.
Chi era la tua allenatrice?
Ho avuto un percorso abbastanza bizzarro, con varie allenatrici che si sono succedute nel tempo. La mia allenatrice degli ultimi periodi è stata la signora Enza Duca, non una vera tecnica di ritmica ma una persona che amava quel mondo quando era ancora agli esordi e che ha seguito varie campionesse negli anni ’70-’80. Ho avuto la grandissima fortuna di avere come allenatrice della nazionale Daniela Delle Chiaie, che ha visto in me del potenziale in un momento in cui la ritmica era ancora lontana dal mio tipo di fisicità. Si parlava ancora di ginnaste potenti e robuste e io invece ero magrolina, mi squartavo in due e tutti mi criticavano perché ero troppo elastica. Delle Chiaie ha percepito personalità e carattere e mi ha permesso di emergere. Quando lei è diventata direttrice tecnica nazionale, sono stata seguita da Marina Piazza.

Tu sei arrivata 7° ad un’Olimpiade, un miraggio per un’individualista ai nostri giorni (nota del 2023: questo risultato è stato poi superato da Milena Baldassarri, che col suo 6° posto a Tokyo 2021 ha firmato il nuovo primato italiano!). Secondo te riusciranno le ginnaste italiane a raggiungere i risultati di una volta?
Rispetto a quando l’Unione Sovietica era unita adesso ci sono molte più nazionali forti, sia come squadra che come individualiste. Le Nazioni hanno a disposizione molte più ginnaste forti e ci si trova a dover competere con Stati che gestiscono questo sport in maniera diversa rispetto all’Italia. Emanuela Maccarani ha creato un ambiente molto forte per la squadra e quindi, nonostante il tournover di ginnaste, ha la possibilità di portare avanti il lavoro ottenuto con continuità e a crescere sempre di più.
A livello individuale è diverso perché è la ginnasta, nella sua unicità, quindi basta un infortunio o un ritiro che si ferma tutto e bisogna ricominciare il lavoro. Inoltre, un’individualista deve combattere con un numero superiore di concorrenti. A me sorprende comunque tantissimo la qualità raggiunta a livello italiano. Mi sembra una cosa meravigliosa visto la selezione sempre più stretta e le tante ore di allenamento necessarie vista la richiesta del livello tecnico.
Segui ancora la ritmica?
La seguo da tifosa ma non da appassionata accanita. Seguo le gare internazionali e tremo e trepido per le nostre ginnaste, osservo gli esercizi e mi piace quando la squadra italiana riesce ad imporsi, dominare e a farsi notare. Guardo sempre gli esercizi e anche il regolamento con curiosità. Negli ultimi anni c’è stato un momento in cui la parte creativa e artistica è stata annullata a favore della destrezza e lì mi sono un po’ disinnamorata, perché questo ha uniformato tutte le ginnaste. Ultimamente ho collaborato sia con la Federazione che con altri enti facendo dei master per la coreografia e ho visto che a livello di codice e di punteggi si è ricominciato a dare spazio anche a questo.
Penso che la grande forza della ritmica e il grande sviluppo degli anni ’80-’90 sia avvenuto grazie a delle ginnaste con personalità molto forti che si facevano riconoscere sul campo, poi questo è venuto a mancare. Adesso mi sembra che ci siano di nuovo le possibilità di esprimersi in modo più individuale e personale col nuovo codice, e la ritmica ha ricominciato a piacermi.
Nei Kataklò ci sono ginnaste di ritmica?
Ci sono state e ci sono: Irene Germini (Olimpiadi di Barcellona ’92 ed Atlanta ’96, ndr) e Valentina Marino (in squadra ad Atlanta ’96, ndr) per fare due nomi che hanno ottenuto buoni risultati nella ginnastica sia a livello nazionale che internazionale. Ora in compagnia ci sono Maria Agatiello e Serena Rampon, entrambe ex ginnaste di serie A (che hanno gareggiato rispettivamente per La Marmora Biella e Ardor Padova, ndr).
Quindi se una ginnasta fosse interessata potrebbe intraprendere questo percorso?
Certamente! Nel mio lavoro vengono richieste le caratteristiche fisiche di questo sport, però chiedo alle ginnaste di ritmica anche una trasformazione del movimento, perché si parla di teatro, c’è un pubblico che paga un biglietto ed è richiesta una capacità artistica diversa. La mobilità articolare e la scioltezza devono essere modificate in modo che lo spettatore non dica “quella è una ginnasta” e devo dire che non è facile, anche su di me ho dovuto fare molta fatica.
Quando dalla ginnastica sono passata a lavorare con i Momix ero più alta di tutte le mie colleghe, sul palcoscenico le superavo di almeno 10 cm, e quindi fisicamente avevo una presenza che si notava rispetto alla media. Dovevo quindi lavorare molto di più per far sì che non mi additassero dicendo “quella non è una danzatrice”. Anche se non c’è una giuria il pubblico e gli addetti ai lavori vedono se dentro ad un coro c’è una nota stonata.
La ritmica tende a portare le ginnaste, anche se adulte, a essere un po’ bambine nei movimenti, mentre in teatro la maturità artistica è importante. Anche l’età porta ad avere un diverso livello espressivo. Se una ginnasta adulta si muove ed agisce in modo fanciullesco in teatro “stona”. Quindi è necessario abbandonare l’atteggiamento infantile ed essere più forti nel gesto. Io nei miei lavori so come una ginnasta può contribuire, ma nello stesso tempo so guidarla per far sì che non sia proprio una ginnasta e trasformarla. Quando si riesce a fare questo si apre un mondo fantastico e meraviglioso.

Nella ritmica l’esercizio individuale viene creato sulla ginnasta, come funziona invece per i tuoi spettacoli?
Idealmente, soprattutto per i pezzi individuali, il coreografo ha un’idea e cerca all’interno del cast la persona che più si avvicina a quel tipo di idea come fisico, espressività e carattere. Poi il lavoro registico e coreografico è proprio quello di portare il danzatore a fare quello che hai nella testa. Ci vuole un dialogo e un riscontro con i danzatori, proprio come avviene tra allenatore e ginnasta.
Per quanto riguarda invece le coreografie corali, l’idea del creatore deve essere sposata da tutti i danzatori che vengono coinvolti. Anche se non sono tutti uguali e non hanno le stesse caratteristiche si devono adattare per dare il meglio, nelle loro possibilità e capacità. Avendo io danzatori molto duttili – sono un po’ interpreti, un po’ danzatori, un po’ acrobati, un po’ ballerini – ho la possibilità a livello coreografico di avere a disposizione un intero vocabolario da poter utilizzare. Ad esempio posso farli partire coreograficamente in un modo e poi farli ribaltare a testa in giù come magari un danzatore non sa fare. Più i miei danzatori sono poliedrici più ho la possibilità di inventare cose diverse.
Hai mai preso ispirazione dalla ritmica per le tue coreografie?
A me piace trasferire la destrezza delle ginnaste di ritmica anche in scena. In Puzzle c’è un pezzo con i nastri, eseguito da due ex ginnaste e da una danzatrice. Gli attrezzi però sono utilizzati in modo diverso: ad esempio nella ritmica si compie il movimento una volta, mentre in teatro bisogna sottolineare il gesto, perché la ripetitività dà enfasi e forza. Questo l’ho imparato a mie spese! Pendelton, il coreografo dei Momix, mi sgridava perché io facevo una cosa e poi scappavo per farne subito un’altra, ma nel teatro ogni gesto si deve vedere bene, e spesso è meglio ripeterlo più volte. Inoltre in scena c’è il grandissimo potenziale dell’utilizzo delle luci e anche grazie a questo l’esercizio diventa un momento più emozionale. Ad esempio, lo sfondo è bianco e i nastri sono quasi dei disegni fluorescenti su di esso.
In Italia si può essere danzatori riconosciuti come professione o è più facile all’estero?
In Italia ci sono diversi tipi di essere danzatori. Nel mondo classico ci sono strutture organizzate e corpi di ballo e, nel momento in cui riesci ad accedervi, riesci a vivere di quello perché ci sono stipendi, pensioni, ferie pagate. Il resto in Italia te lo devi costruire giorno per giorno ed è sempre sul limite del compromesso. Se vuoi fare teatro, dove vieni pagato poco, devi lavorare anche come privato in eventi in modo da ottenere qualche cosa in più. Anche gli artisti dei Kataklo per fare bene in teatro devono lavorare su cose diverse per poter permettere al danzatore di avere continuità.
Come coreografa mi piacerebbe avere tutti i giorni da mattina a sera gli artisti a disposizione per poter sperimentare, ma per guadagnare qualcosa di più ognuno di loro può lavorare anche all’esterno. Adesso tutti i danzatori senior dei Kataklò portano avanti dei progetti personali, che io come Kataklò sostengo e magari poi includiamo anche nello spettacolo. In Italia fare l’artista in generale non è facile e fare il danzatore è molto difficile, però con voglia e disponibilità d’animo si può fare!

A proposito di progetti, adesso avete in preparazione qualcosa di nuovo?
Siamo in un momento in cui lo spettacolo Puzzle è all’ultima stagione, perché comunque è qualche anno che gira molto bene in Italia e all’estero. Ora stiamo riallestendo Play, spettacolo storico dei Kataklò che parla delle discipline sportive (del quale abbiamo potuto ammirare alcuni spezzoni alla World Cup di Pesaro 2011, ndr). Lo porteremo in tournée in Brasile quest’estate in occasione delle Olimpiadi e poi negli Emirati Arabi.
Siamo una compagnia che è un mix tra danza, teatro e sport e, visto il mio trascorso da ginnasta, il legame con il mondo sportivo è rimasto. Laddove ci sono occasioni veniamo chiamati per far guardare lo sport non solo in ambito agonistico ma anche come spettacolo. Ad esempio, ci siamo esibiti con Play per la presentazione del logo di Roma 2024. Mi piace attingere a un lavoro che ha ormai vent’anni ma è ancora attualissimo, perché in fondo è la matrice dei Kataklò ed è bello che riemerga nei cicli olimpici. Intanto sto lavorando e sperimentando lo spettacolo nuovo che debutterà la prossima stagione in Italia. La mia idea sarà un’ulteriore sperimentazione in un’altra direzione e spero che sia una nuova chiave per incuriosire e divertire il pubblico.
Quando e come si inizia la formazione Kataklò?
La formazione parte dai 16 anni, perché a quell’età c’è già una certa maturità. Gli sportivi i quali non sono riusciti ad ottenere i risultati sperati possono ancora esprimersi, perché la carriera artistica è più lunga di quella sportiva. Si può frequentare l’accademia in diversi modi: c’è chi si trasferisce qui e svolge il programma completo, mentre chi abita vicino fa un altro tipo di percorso in attesa della maturità scolastica. Per accedere all’accademia c’è una prova di ammissione in cui guardo soprattutto la disponibilità mentale a imparare quello che non si conosce. Avendo diverse provenienze – chi dall’artistica, chi dalla ritmica piuttosto che dalla danza – ciò che guardo è se il soggetto può essere idoneo a proseguire il percorso Kataklò.
In conclusione aggiungo che chi volesse anche solo avere un assaggio del meraviglioso mondo dei Kataklò può iscriversi agli stage, in cui si provano diverse lezioni con i membri dei Kataklò come insegnanti. Un’esperienza unica e adatta a chi viene dal mondo della ritmica e ha voglia di mettersi alla prova! Chi fosse invece interessato ad accedere all’Accademia Kataklò può visitare il sito ufficiale per conoscere le date delle audizioni. Chissà che per qualche ginnasta si apra una nuova meravigliosa carriera!
Conoscevate la storia di Giulia Staccioli? Avete mai visto i Kataklò? Fatecelo sapere nei commenti!
Questo articolo capita a fagiolo visto che domani sera i Kataklò saranno a Lecce! Non ne avevo mai sentito parlare e non conoscevo Giulia Staccioli, perciò grazie Beatrice!!
Giulia Staccioli è un genio e un biglietto per i Kataklò è uno dei più bei regali che possiate farvi in ambito artistico. Compagnia strepitosa, artisti di livello pazzesco, soluzioni originali.
Ho partecipato a un Katatris anni fa (dove ho fatto amicizia con Bea :P) e ho avuto la fortuna di poter seguire workshop della disciplina che pratico con diversi artisti formatisi all’accademia. Che dire: tutte esperienze indimenticabili.
Del pensiero della Staccioli adoro la volontà di contaminare, conoscere, aprirsi a nuove possibilità: una compagnai artistica che lavora in questa direzione non passerà mai di moda.
Wow non sapevo nulla!
E siamo in due…